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La durezza dell’acqua: requisiti per la salubrità e per l’utilizzo tecnologico

L’acqua è l’elemento più presente sulla superficie del pianeta ed è essenziale per tutti gli organismi viventi, è quindi normale che ad essa si ponga grande attenzione sia in termini di salubrità dell’acqua che beviamo, sia per ciò che concerne il suo utilizzo per scopi tecnologici.

L’acqua ha la caratteristiche di solvere i diversi tipi di sostanze con cui viene in contatto e di portarle con sé; il tipo e quantità delle sostanze disciolte caratterizza ogni acqua che troviamo in natura e determina a volte la necessità di prendere degli accorgimenti per poterla utilizzare per un determinato scopo.

Con il termine durezza di un’acqua, si intende un valore del contenuto di ioni Calcio Ca2+ e Magnesio Mg2+ dovuti alla presenza di sali solubili nell’acqua. I sali della durezza sono solitamente presenti nell’acqua come solfati (SO42-), cloruri (Cl-), nitrati (NO3-), carbonati (CO32-) o idrogenocarbonati (HCO3-), che generalmente sono solubili, ma per riscaldamento o per evaporazione precipitano formando incrostazioni di calcare.

La durezza si distingue in totale, permanente e temporanea.

La durezza totale è la somma della durezza temporanea e della durezza permanente. Viene espressa in base al contenuto totale di calcio e magnesio, calcolato come CaCO3 secondo la scala in gradi francesi °F, o come CaO   secondo la scala in gradi tedeschi, °T):

Classificazione Durezza (°F)
Molto dolce 0÷8
Dolce 8÷15
Poco dura 15÷20
Mediamente dura 20÷32
Dura 32÷50
Durissima > 50

La durezza di 1 grado francese corrisponde a 10 mg/l di CaCO3 e 1 grado tedesco corrisponde a 10 mg/l di CaO.

La durezza permanente è dovuta a sali di calcio e magnesio che non si decompongono per riscaldamento, come i carbonati, solfati e cloruri.

Il termine durezza temporanea si riferisce a quei sali solubili che per ebollizione dell’acqua si trasformano in sali insolubili che precipitano all’aumentare della temperatura dell’acqua:

Ca(HCO3)2 (aq)   ⇌   CaCO3 (s) +   CO2(g)   +   H2O

L’anidride carbonica CO2 che si sviluppa durante al precipitazione dei carbonati si combina con l’acqua H2O andando a formare acido carbonico H2CO3, che modifica leggermente l’acidità dell’acqua presente nell’impianto.

Quindi l’acqua con elevata durezza è contemporaneamente incrostante e corrosiva.

Le molecole di calcare CaCO3 vanno a depositarsi sulle superfici interni dei sistemi impiantistici e costituiscono quello strato biancastro chiamato calcare. Il calcare è una incrostazione tenace di difficile rimozione, che limita lo scambio termico e peggiora le performance degli impianti di riscaldamento, inoltre la presenza dei depositi di calcare facilita la proliferazione batterica all’interno dei sistemi.

Dal punto di vista igienico sanitario la durezza dell’acqua utilizzata per scopi potabili non è rappresenta un problema, nonostante ciò che l’opinione corrente sostiene spesso il contrario. Il D.Lgs. 31/2001, relativo alla qualità dell’acqua potabile distribuita in condotte, prevede un limite indicativo del valore della durezza e ne prevede un range di valori compreso tra 15 e 50°F, dove il limite inferiore è da intendersi come quello previsto per l’acqua destinata ad usi sanitari.

Il Ministero della salute, in riferimento alla richiesta di precisazioni rispetto al limite di durezza dell’acqua potabile, ha precisato che il mancato rispetto dei valori indicati nel D.Lgs. 31/01 non rappresenta una vera e propria non conformità e dovrà, di volta in volta, essere valutato ai fini dell’emanazione del suddetto giudizio di idoneità. (…) Nell’equilibrio delle concentrazioni indicate, la composizione in sali minerali che conducono ad una durezza di 10 – 15 °F rappresenta il miglior contenuto raccomandabile a livello sanitario. Ciò nonostante non è possibile affermare con certezza che una durezza  inferiore al  limite consigliato di 10°F sia dannosa alla salute soprattutto se, dopo il trattamento dell’acqua con un’apparecchiatura conforme al DM 25/2012, viene data opportuna informazione all’utente”.

Dal punto di vista tecnologico i principali problemi che si possono manifestare all’interno di un impianto di riscaldamento legati durezza dell’acqua sono la formazione di incrostazioni calcaree e i depositi e l’insorgere di fenomeni corrosivi

Nelle tubazioni il calcare riduce la sezione di passaggio per l’acqua con conseguente aumento delle perdite di carico e della pressione.

Inoltre può manifestarsi anche una corrosione puntiforme che può obbligare nel tempo sostituzione della tubazione.

Sulle superfici metalliche degli scambiatori si formano incrostazioni che diminuiscono lo scambio termico, è bene ricordare che la presenza di 1mm di deposito di calcare può compromettere le performance fino al 10%.

Le incrostazioni calcaree tendono a formarsi, in maggior parte, sulle superfici metalliche di scambio termico (caldaia, scambiatori) e con estrema disuniformità di spessori, il che comporta variazioni notevoli delle temperature da punto a punto delle superfici di scambio, con sollecitazioni e stress differenziati del metallo.

Oltre ad una minore durata dell’impianto, Io stesso richiede con più frequenza interventi di riparazione e la sostituzione di componenti.

La legislazione interviene regolando la durezza dell’acqua utilizzata negli impianti termoidrosanitari, nella tabella sottostante, tratta dalla documentazione relativa al catasto degli impianti termici dell’Emilia Romagna, viene raffigura la successione nel tempo degli obblighi connessi all’installazione dei sistemi di trattamento acqua negli impianti idrotermosanitari.

Installati dopo Servizio Potenza (kW) Durezza (°f) (*) Tipo trattamento Base Normativa
15/09/1993 Clim. Inv. Pn > 350 ≥15 ° f Filtro sicurezza
Addolcitore
art. 5, coma 6, DPR 412/1993
15/09/1993 Clim. Inv. + ACS Pn > 350 Tutti Filtro sicurezza

-Addolcitore o Trattamento chimico

art. 5, coma 6, DPR 412/1993
25/06/2009 Clim. Inv. Pn < 100 ≥25 ° f Condizionamento chimico art. 4, comma 14 DPR 59/2009
25/06/2009 Clim. Inv. 100 < Pn < 350 ≥25 ° f Addolcimento art. 4, comma 14 DPR 59/2009
25/06/2009 Clim. Inv. + ACS o sola ACS Pn < 100 ≥15 °f Condizionamento chimico art. 4, comma 14 DPR 59/2009
25/06/2009 Clim. Inv. + ACS o sola ACS 100 < Pn < 350 ≥15 ° f Addolcimento art. 4, comma 14 DPR 59/2009
01/10/2015 Clim. Inv. o Clim. Inv. + ACS TUTTI TUTTI Condizionamento
chimico
DM 26/06/2015
01/10/2015 Clim. Inv. o Clim. Inv. + ACS Pn > 100 ≥15 ° f Addolcimento DM 26/06/2015

Nell’utilizzare la tabella occorre ricordare che il “termine condizionamento chimico” comprende anche i trattamenti che hanno lo scopo di contenere la formazione biologiche o di proteggere l’impianto dal gelo.

La scelta del condizionante chimico deve essere effettuata in base alle caratteristiche dell’acqua di riempimento, delle temperature di esercizio dell’impianto e dei materiali dell’impianto.

La norma tecnica di riferimento per i trattamenti dell’acqua degli impianti idrotermosanitari è la UNI 8065:1989 che fissa i parametri chimici e chimico-fisici delle acque e di cui dovrebbe essere a breve pubblicato l’aggiornamento.

Per gli impianti di climatizzazione estiva non esiste una norma cogente che obbliga alla installazione del trattamento dell’acqua; essi erano previsti dalla UNI 8884 che definiva i requisiti per il trattamento dell’acqua dei raffreddamento e di umidificazione, ma questa norma è stata ritirata, alcune indicazioni potrebbero essere nella futura UNI 8675.

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